Orari di apertura: Lun-Dom 9.00-20.00
I Musei nazionali di Matera ospitano le fotografie di Francesco Radino, Mario Carbone, Mario Cresci, Luciano e Marco Pedicini.
Apprende giovanissimo il mestiere di fotografo, dal ritocco alla stampa, svolgendo un lungo apprendistato prima in Calabria e poi a Milano, dove lavora anche nello studio di Elio Luxardo. Nel 1955 si trasferisce a Roma e inizia la sua attività in ambito cinematografico come operatore, direttore della fotografia e quindi di documentarista. Per molti anni collabora con diversi registi fra cui Raffaele Andreassi, per il quale cura la fotografia de I vecchi, ricevendo il suo primo Nastro d'Argento nel 1959. Riconoscimento che sarà replicato nel 1964, grazie a un documentario sull'abbandono delle terre feudali da parte della nobiltà calabrese e nel 1967, con il Leone d'Argento alla Biennale di Venezia con Firenze, novembre 1966, folgorante testimonianza in bianco e nero della drammatica alluvione, confezionata con testi di Vasco Pratolini e la voce di Giorgio Albertazzi.
Come altri documentaristi della sua generazione, Carbone coltiva la passione per un cinema capace di eleggere a soggetto l'attualità sociale e civile, ma anche quella culturale, prestando attenzione all’arte, alla letteratura, alla musica e al teatro. Dati i suoi interessi Cesare Zavattini lo invita a collaborare, in qualità di operatore e regista, al film-inchiesta, a più mani, I Misteri di Roma (1963), in cui quindici giovani autori raccontano la vita di una città travolta dal boom economico, con annessa esplosione demografica.
Impegnato a filmare le manifestazioni politiche e sociali degli anni Sessanta, Carbone racconta le lotte operaie alla Zanussi (Uomini nella fabbrica, 1964), l'occupazione delle terre a Melissa, in Calabria (Sedici anni dopo, 1967), la condizione del lavoro contadino (Dove la terra è nera, 1966), nonché la rivolta degli studenti alla facoltà di architettura di Roma nel fatidico 1968.
Si moltiplicano in quel momento anche i documentari dedicati agli artisti, grazie al rapporto personale che Carbone stringe con alcuni di coloro che a Roma gravitano fra via Margutta e Piazza del Popolo: Renzo Vespignani, Antonietta Raphaël Mafai, Titina Maselli e Tano Festa, solo per citarne alcuni.
Oggi tali materiali sono conservati nell’ampio Archivio Carbone e al cosentino è dedicato un omonimo premio fotografico.
Viaggio in Lucania con Carlo Levi - 1960
Il fotografo e documentarista calabrese realizza questo reportage nell’aprile del 1960, invitato da Carlo Levi ad accompagnarlo in Basilicata, nei paesi del suo Cristo si è fermato a Eboli, in un viaggio di preparazione al dipinto Lucania 61.
I due ripercorsero i luoghi del confino per ‘rinverdire la memoria’ e documentare attraverso le fotografie, rese con un bianco e nero inciso e contrastato, le immagini della terra, le storie e i volti che Levi intendeva fissare nel grande telero, per raccontare la storia e la cultura lucana in occasione delle celebrazioni dell’unità d’Italia.
Carbone scattò circa quattrocento fotografie, in parte confluite nel volume Viaggio in Lucania con Levi (1980) e nel documentario dedicato allo scrittore-pittore, Omaggio a Carlo Levi (1983).
Sempre nel 1960 sceglie Franco Angeli, uno degli artisti della cosiddetta ‘Scuola di Piazza del Popolo’, con cui all'epoca Carbone divideva lo studio, come protagonista del suo primo cortometraggio, Inquietudine.
Le fotografie qui presentate sono state acquisite al patrimonio del Museo nel 2014 in occasione della Mostra ‘Pasolini a Matera. Il Vangelo secondo Matteo 50 anni dopo’, per raccontare la città in quel particolare momento storico in cui i Sassi, ancora abitati, stavano per essere spopolati per la Legge di Risanamento dei Rioni Sassi promulgata nel 1952.
Tra i più rilevanti interpreti della ricerca fotografica in Italia del secondo Novecento, dalla fine degli anni Sessanta ha sviluppato una complessa produzione che spazia dalla grafica al disegno, alla fotografia, alle installazioni. Il suo lavoro ha investigato la natura del linguaggio visivo per mezzo della fotografia, come pretesto opposto al concetto di veridicità del reale.
Anche grazie alle competenze acquisite al Corso Superiore di Industrial Design di Venezia, sarà tra i primi in Italia della sua generazione ad analizzare la percezione visiva e la forma del pensiero artistico e fenomenico attraverso la ricerca fotografica, per poi confrontarsi, negli anni Settanta, con l’esperienza sul campo in Basilicata, prima a Tricarico e poi a Matera per oltre vent’anni.
Dalla fine di quel decennio si dedica inoltre all’insegnamento come attività di esperienza creativa condivisa, parte integrante del suo lavoro d’autore, nella convinzione che l’opera d’arte possa generarsi da un processo sociale ed essere dispositivo formale che, a sua volta, crea relazioni tra le persone.
Nel 1968 e 1969 tra Roma e Parigi collabora con la Galleria l’Attico ed entra in contatto con Pascali, Mattiacci, Patella e Kounellis, realizzando una serie di performance urbane con due nastri fotografici di contenuto sociale e aderenti all’idea del teatro di strada. Nel 1974 alcune sue fotografie sono acquisite dal Moma di New York e nel 1975 pubblica la ricerca Matera immagini e documenti e nel 1979 il libro Misurazioni, a conclusione di due anni di lavoro in un laboratorio-scuola da lui ideato per la Regione Basilicata.
Dopo aver diretto dal 1991 al 2000 l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, riprende poi il suo lavoro d’autore. Varie le tematiche e le sperimentazioni: slittamenti di senso, variazioni, coincidenze e luoghi dell’arte intesi come site specific interni alle città.
Nel 2004 si tiene alla GAM, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea di Torino, la sua prima mostra antologica Le case della Fotografia, 1966-2003 a cura di Piergiovanni Castagnoli. Ha partecipato ad alcune edizioni della Biennale di Venezia, tra cui nel 1993 Muri di carta, fotografia e paesaggio dopo le avanguardie.
La cura - 2010
Il lavoro, composto da dieci scatti, è stato realizzato nel Laboratorio di restauro dell’allora Soprintendenza per i Beni Artistici della Basilicata come site specific della mostra Mario Cresci Forse Fotografia. Attraverso l’Umano. La mostra, allestita in Palazzo Lanfranchi, ultimo segmento di un complesso progetto espositivo organizzato in tre luoghi della cultura italiana per presentare l’indagine su tre differenti aspetti della ricerca creativa dell’artista ligure: Attraverso l’arte, a Bologna nella Pinacoteca Nazionale; Attraverso la traccia a Roma presso l’Istituto Nazionale per la grafica e Attraverso l’Umano a Matera in Palazzo Lanfranchi.
Mario Cresci, fotografo e grafico, ha vissuto e operato in Basilicata dalla fine degli anni Sessanta agli ultimi anni Ottanta. Vent’anni dopo il distacco da questa città l'artista ritorna a Matera e, nel Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata a Palazzo Lanfranchi, rilegge all’insegna dell’Umano le opere d’arte esposte, ma anche quelle conservate nei depositi e nel laboratorio di restauro, e riannoda in questi luoghi, deputati all’umanissima ‘cura’ delle opere, i fili della sua complessa ricerca artistica.
Cresci affronta le sue riflessioni sull’arte e sul restauro, che gli derivano dall’esperienza maturata, anche a contatto con gli artisti contemporanei, fin dagli inizi degli anni Settanta, e dalla capacità di riflettere sul linguaggio fotografico e sulle sue potenzialità espressive. Il percorso richiama inevitabilmente lo spartiacque del terremoto del 1980, la ragione dei depositi e della nascita del grande laboratorio di restauro ‘luogo deputato all’umanissima cura delle opere’, in cui vengono realizzati i dieci scatti del progetto fotografico, site specific della mostra, a rappresentare l'impegno in difesa della cultura, del patrimonio e dei beni comuni.
Figlio di Vincenzo Radino, cresce a Milano dove la famiglia si è trasferita nel 1953. Iscrittosi a Trento alla Facoltà di Sociologia, decide di assecondare la sua passione per la fotografia scegliendo l’ambito del sociale, la fotografia industriale, di paesaggio, architettura e design.
Negli anni Settanta l’ambiente della fotografia milanese è segnato dalle figure di Paolo Monti e Ugo Mulas, del collezionista e storico dell’arte e della fotografia Lamberto Vitali, del gallerista ed editore Lanfranco Colombo, di Cesare Colombo, fotografo e curatore, e Toni Nicolini, persone importanti per Radino come anche Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico, Mario Cresci, Luigi Ghirri, con i quali stringe duraturi rapporti di amicizia.
Nel decennio successivo inizia a prendere parte a progetti di committenza pubblica dedicati alle trasformazioni del paesaggio contemporaneo, per Eu Jap Fest, 1999, per la Regione Lombardia, 2000, per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’Atlante italiano 2003, per il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, Tramsformazione 2005-2008. Compie numerosi viaggi reportage in Giappone e negli Stati Uniti.
La sua attività espositiva alla Fondazione AEM di Milano corre parallela a quella di docenza per corsi universitari di fotografia a Modena, Firenze, Chiasso e Milano.
Nel suo lavoro ha sempre intrecciato produzioni su committenza e ricerca artistica.
E’ oggi considerato uno dei maestri della fotografia italiana contemporanea.
Dialogo familiare
Le opere presentate sono frutto di una donazione avvenuta al termine della mostra Vincenzo e Francesco Radino. Dialogo familiare allestita nella Sala del Trono del Castello di Melfi. Il progetto espositivo ha visto per la prima volta riunite insieme il percorso creativo di Vincenzo, attraverso le sue opere pittoriche e quella di Francesco, suo figlio, con le sue fotografie. Due gli obiettivi: da un lato portare alla conoscenza del pubblico e degli studiosi l’opera di un pittore lucano appassionato e sapiente, Vincenzo, finora rimasto sconosciuto, forse per sua indole ma certamente per sua volontà, nonostante la sua infaticabile e feconda attività durata una vita intera; dall’altro ha posto i suoi dipinti accanto ad una selezione di fotografie del figlio, Francesco, tra i più noti e stimati fotografi italiani contemporanei. La mostra ha voluto mettere a confronto motivi comuni e punti di contatto creando un racconto che intreccia arte e affetti, una sorta di “album di famiglia”. Padre e figlio, in stretto rapporto di dialogo, realizzano i propri percorsi creativi utilizzando riflessioni e connessioni partendo da elementi della realtà totalmente differenti: il piacere di dipingere, connessa alla necessità di esprimere e indagare la realtà, del padre; affiancato alla determinazione di raccontare l’evidenza attuando una intensa e specifica ricerca estetica attraverso l’obiettivo fotografico del grande professionista per il figlio. Pittura e fotografia sono strumenti di lavoro diversi e molto lungo e profondo è stato il dibattito sulle influenze reciproche tra queste due arti. Il lavoro ha messo in luce momenti di vicinanza tra Vincenzo e Francesco sottolineando una sensibilità comune verso alcuni temi. Entrambi hanno sempre sentito un forte legame con la terra e hanno sempre amato e ammirato la natura, molto significativi gli studi sugli alberi realizzati sia dall’uno sia dall’altro. Inoltre hanno insistito nell’osservazione delle forme e delle materie delle cose che compongono il mondo mirata a cercare di penetrarne la complessità e i significati, in un continuo esercizio della visione e del processo di trasformazione, anche visionaria, che la pratica artistica consente.
La formazione è avvenuta, già negli anni del liceo, seguendo il padre Rocco nelle numerose campagne di catalogazione per le Soprintendenze in giro per l'Italia meridionale, esperienza che gli ha permesso di sperimentare la fotografia sulle più varie tipologie di opere d’arte.
Luciano Pedicini ha esposto in mostre personali in vari musei napoletani, a Parigi, a Madrid e a Pamplona. Sue fotografie sono pubblicate da editori di molti paesi del mondo. Tra i tanti si citano Ritorno al Barocco edito per Arte’m, L’Aquila i monumenti da salvare per FMR, Mosaiques grecques et romaines per Cittadells & Mazenod, Herculaneum per Imprimerie Nationale, Pompeji. Gotter Mythem, Menschen per Bucerius Kunst Forum, Roman Wall Painting in Pompeji per The Tokyo Shimbun.
Insegna fotografia di Beni Culturali all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Dopo la laurea in lettere moderne conseguita presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, decide di dedicarsi alla fotografia. Tra i lavori a cui ha partecipato citiamo l’Armeria Reale nella Galleria Beaumont edito per Fondazione CRT, Mosaici greci e romani per Arsenale editrice, Emilio Notte per Arte’m, San Gregorio Armeno per Fridericiana editrice, Rocco Molinari. Viaggio nella materia per Art Studio Paparo. Realizza inoltre, insieme al fratello Matteo, il documentario Il Viaggio di Nettuno, sulla fontana di Medina di Napoli.
Da qualche anno lavorano stabilmente insieme, arricchendo una tradizione familiare che dura da oltre 50 anni, con l’obiettivo sempre vivo di valorizzare il patrimonio culturale attraverso la lettura fotografica.
Oltre a Sedimentazioni, tra i progetti personali hanno realizzato a doppia firma Sotto mentite spoglie. Riflessioni su Canova e l’antico e Metabolismo napoletano, catalogo edito da Artre’m.
Sedimentazioni. Occhi su Matera - 2019
Il lavoro di ricerca di Luciano e Marco Pedicini è dedicato a Matera e alla sua millenaria civiltà.
I due fotografi napoletani indagano la genesi della città prima della sua definizione e la rintracciano sull’altro versante della Gravina dove fissano l’obiettivo sulla roccia porosa, su ambienti scavati, sulle chiese rupestri, sulle macchie verdi degli arbusti e dei fiori spontanei. Poi volgono lo sguardo su Matera, dal lato opposto, città che sembra svilupparsi senza artifici umani e che appare specchiarsi continuando un rapporto di dialogo e assumendo forme di similitudine, riflesso, eco, tanto da apparire come la continuazione della espressione del naturale.
Il racconto di Luciano e Marco Pedicini, fotografi d’arte, indaga i dettagli più minuti della materia e unisce i fossili incastonati nella roccia calcarenitica, le sue diverse specificità naturali, con le forme dello scavato e gli affreschi delle chiese rupestri. Elementi con cui la comunità ha modellato il proprio habitat e a cui oggi riconosciamo una valore e un nesso tra natura e cultura.
Il progetto è stato realizzato dal Polo museale regionale della Basilicata e presentato a Palazzo Lanfranchi nel 2019.
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