Un po’ di storia…

Per volontà e con il contributo del nobile Marcello di Noia, viene avviata l’edificazione della Chiesa del Carmine con l’annesso piccolo Convento Carmelitano, posto nella località detta allora del Piano, in contrada di Santa Maria degli Armeni. Le fonti storiche riferiscono di una grande chiesa “lamiata” (con copertura a lamione, tipica copertura a botte dell’area materana) e di un convento destinato ai frati carmelitani, il quale fu soppresso nel 1652 da Innocenzo X, a causa delle ristrettezze economiche della Curia. L’osservazione diretta del manufatto testimonia che l’edificazione delle due strutture avvenne in tempi diversi.

Il Palazzo viene edificato a partire dal 1668 quale sede del Seminario della Diocesi di Matera, in seguito alle disposizioni del Concilio tridentino che obbligava ciascuna Diocesi a dotarsi di un proprio seminario destinato alla formazione, all’erudizione e all’educazione dei nuovi sacerdoti, per contrastare attraverso l’emancipazione culturale del clero la crisi della Chiesa cattolica messa in atto dalla Riforma protestante. L’iniziativa è dell’arcivescovo Vincenzo Lanfranchi che attribuì l’incarico di redarre il progetto architettonico al frate cappuccino Francesco da Copertino.

Lanfranchi, immagina di costruire l’edificio sulla Civita e inizia ad acquisire alcune case ma non riesce ad ottenere un’area di dimensioni idonee al progetto e comunque trova la resistenza della famiglia Gattini che invece lo convince ad avviare la fabbrica “in prossimità della città di Matera” nel luogo in cui era il dismesso convento del Carmine e gli vende un giardino confinante.

Il 24 maggio 1668 i lavori iniziano con la demolizione delle parti del convento non utilizzabili, si conserva la chiesa che viene inglobata nella facciata del nuovo edificio e il prospetto murario verso i Sassi.

Non poche dovettero essere le difficoltà legate all’edificazione, a causa della presenza diffusa di cripte rupestri e necropoli medievali scavate nel pianoro tufaceo: tra queste si annovera la Chiesa rupestre di San Niccolò La Cupa, Santa Maria degli Armeni e una serie di cavità sul fronte ovest. Inoltre, non facile dovette essere l’inglobamento nella nuova facciata del Palazzo con quella della Chiesa del Carmine: l’intento dell’architetto fu quello di svincolarsi dalla struttura retrostante della facciata, per creare una composizione unitaria tra preesistenza e intervento.

È inoltre certa l’apertura di una nuova strada, l’odierna calata Ridola, compatibile con il taglio obliquo di alcuni ambienti del Convento verso il Sasso Caveoso. A confortare questa rilettura, non solo la presenza di roccia affiorante alla base del muro che testimonia una modifica dell’impianto stradale, ma anche le anomalie strutturali rinvenute nel grande ambiente absidato posto sopra l’ingresso da Piazzetta Pascoli.

La costruzione del Palazzo durò 4 anni (1668-1672), con l’inaugurazione il 31 agosto 1672; l’attività didattica inizia, invece, il 22 ottobre 1673.

In questa fase si completano le coperture e gli infissi e si arricchiscono di decorazioni le stanze da lui abitate.

Le pareti del chiostro seicentesco vengono arricchite da scritte e sculture che ricordano i mecenati della costruzione: sul lato est si colloca la meridiana e dentro le nicchie cinque busti lapidei che riproducono la sua effige, quella dei tre fratelli del Lanfranchi, Gerolamo, Andrea e Giovan Battista e del suo predecessore, Antonio Del Rjos. All’incrocio dei lati est e sud del porticato di perimetro al chiostro viene sistemato in bella vista il busto policromo del Lanfranchi, mentre a Marco Malvinni, prodigo donatore, viene dedicato il busto ubicato nell’ingresso di piazzetta Pascoli, il cui portale è a sua volta sormontato da tre piccole statue in tufo.

Il primo ampliamento dell’edificio si deve all’arcivescovo Zunica che fa costruire il corpo a ovest dell’impianto originario per l’incremento dei seminaristi. Si tratta di un volume che rompe la compattezza dell’impianto lanfranchiano e che comprende quattro grandi ambienti coperti da volte a stella. L’intervento è attestato, oltre che da fonti storiche, anche dal disallineamento dei filari di muratura tra corpo preesistente (di epoca lanfranchiana) e corpo aggiunto, dall’interruzione della cornice marcapiano e la prosecuzione di una cornice della stessa tipologia sul corpo aggiunto. Per permettere il collegamento tra gli ambienti del Seminario e quelli del nuovo corpo di fabbrica a piano terra, si demoliscono le lunette della volta a botte a copertura dell’ambiente adiacente alla nuova fabbrica. Inoltre, la conformazione dell’ampliamento su Via Casalnuovo suggerisce che tale costruzione sia avvenuta, con buone probabilità, su edifici e allineamenti preesistenti posti a quota inferiore, probabilmente scavati. L’arcivescovo rivolge le sue cure anche alla decorazione della Chiesa, facendo trasportare un altare di pietra con la effigie di S. Maria de Armenis dalla vecchia chiesa omonima, facendo trasferire la tomba di D. Pietro De Quercis, Vescovo di Mottola, uno dei più illustri abati di S. Maria de Armenis e autore dell’altare suddetto; colloca, infine, un altare di marmi policromi, proveniente dall’abbandonato Convento dei benedettini di Montescaglioso.

In questa fase cambia la destinazione d’uso del palazzo: dal 1798 fino al 1801 viene adibito a caserma durante i moti che portarono alla fondazione della Repubblica Partenopea, mentre dal 1801 fino al 1822 il Seminario viene riaperto.

A fronte dell’ampliamento a sud, per soddisfare la necessità di annettere al Seminario l’Istituto Preparatorio dei Ragazzi, è possibile affermare che all’arcivescovo Di Macco si deve l’attuale volumetria del complesso architettonico, mediante la prosecuzione delle lunghe sale voltate a botte sia al piano terra (cucina, refettorio e palestra) che al piano nobile (camerate). È evidente la differenza di dimensioni delle finestre e delle cornici tra “il palazzo lanfranchiano” e “l’ampliamento di Di Macco” al piano terra. Alcune fonti storiche attribuiscono a Di Macco anche alcune modifiche alla facciata principale che, nell’affresco raffigurante una veduta di Matera risalente al 1707 e conservato nel Palazzo Arcivescovile, si presentava infatti diversa dall’assetto attuale. L’intervento consta dell’aggiunta di decorazioni plastiche, busti e statue di tufo, collocati in più parti ad ornamento dell’edificio, tra cui, quattro statue di Santi collocati in nicchie, simmetriche al portale di ingresso da via Ridola, due strane antefisse sono collocate in alto sugli spigoli a nord delle due facciate laterali rappresentanti rispettivamente un bambino rannicchiato e una strana figura diabolica.

La lettura dell’impianto strutturale oggi osservabile confermerebbe un differente allineamento dell’angolo nord-ovest su Via Casalnuovo. Il fronte ovest evidenzia la presenza di due cornicioni sfalsati, la discontinuità di impianto murario tra il piano terra e il primo piano. Un’ultima nota riguarda lo spessore degli altri tre muri attestati sul portico del chiostro, il cui spessore richiama fedelmente quello del muro interno sul lato est, quasi a indicare un originario impianto quadrato delle pareti al piano superiore e ad attribuire a tale parete la funzione di tamponamento di una precedente balconata sulla corte.

Al 1853 si data una sopraelevazione oltre il piano nobile (al di sopra del cornicione) della porzione sud, che permette di ricavare sette sale da adibire a camerate con la cappella interna (attuale salone delle Arcate). Le evidenze dell’aggiunta del piano sommitale sono visibili tanto sul prospetto sud quanto su quello ovest; il volume aggiunto però non copre l’intero piano ma lascia aperta una terrazza con vista sui Sassi nell’angolo sud-est.

Nel 1860 le leggi unitarie assegnano l’edificio ai beni del Comune. Il Seminario viene trasferito in alcuni ambienti contigui alla Cattedrale e le funzioni vengono mantenute dall’Amministrazione Comunale che nel 1864 riprende l’attività didattica con Ginnasio e Liceo e la residenza con il Convitto Nazionale. Funzioni che verranno assunte dallo Stato nel 1882, anno scolastico che accoglierà Giovanni Pascoli al suo primo incarico di insegnamento ottenendo la cattedra di italiano e latino nel biennio 82-84.

In questa fase, si effettuano numerosi lavori di manutenzione sulla sede del Liceo e del Convitto. Le fonti storiche ci informano che certamente dopo il 1923 il terrazzo sull’angolo sud-est è stato chiuso del tutto, configurando in tal modo l’attuale assetto volumetrico del complesso. Evidenze della chiusura sono il leggero salto di quota visibile sul limite superiore delle murature, gli spessori delle nuove murature più contenuti rispetto a quelli preesistenti e una tecnica muraria differente rispetto alle porzioni adiacenti.

Dopo la Seconda guerra mondiale, periodo in cui il palazzo è stato destinato a caserma, con ogni probabilità si rifece il manto di copertura.

Nel 1979 alcuni ambienti vengono affidati alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata, contemporaneamente iniziano i lavori di restauro, curati dall’arch. Vincenzo Baldoni, che si avvale dell’analisi e dello studio storico dell’arch. Livia Bertelli. Nell’area sud del piano terra dell’edificio, tra il chiostro e le tre sale contigue che in antico avevano ospitato cucina e refettorio, si allestisce uno spazio idoneo per la mostra Arte e mondo contadino a cura di Mario De Micheli, inaugurata a giugno del 1980. Per la mostra viene trasferito a Matera Lucania ‘61 (la grande tela, di proprietà dello Stato, commissionata da Mario Soldati, curatore della mostra Italia ’61, era smontata e affidata in deposito al Museo Civico di Torino, in attesa di una destinazione) e le sale iniziano ad essere chiamate Sala Levi. La Soprintendenza ottiene dall’amministrazione Comunale l’uso di tutti gli ambienti dell’edificio, allora denominato “ex liceo”; nelle sale ad est del chiostro viene attrezzata la falegnameria (oggi centro Levi), nelle sale al terzo piano vengono allestiti i laboratori di restauro (oggi sala delle Arcate) e in tutte le stanze che si aprono sul corridoio ovest del primo piano vengono distribuiti gli uffici, utilizzando la stanza del Vescovo come stanza del Soprintendente e nelle sale di Zunica vengono esposte le opere al termine dei lavori di restauro.

Il progetto di restauro del palazzo porta alla demolizione delle superfetazioni in cemento armato aggiuntesi nel corso dei secoli in copertura e sulle facciate del fabbricato, in particolare sulla facciata est viene ripristinato l’accesso risalente agli anni Trenta al Centro Levi (ex cucina del Seminario) riportando alla luce un piccolo vano coperto con due volte a crociera come unica sporgenza di valore storico di questa facciata. Al piano secondo, Baldoni definì le tre arcate che costituiscono l’attuale Sala delle Arcate, demolendo i setti murari costruiti per ricavare le aule negli anni Venti del Novecento; nel centro Levi si scelse di allargare la finestra sulla parete est per permettere al visitatore di godere dello straordinario panorama offerto dai Sassi.

Durante i lavori, sotto la grande terrazza a sud, sono state rinvenute tracce di un cimitero medievale risalente al VII-VIII secolo sulle cavità antropiche preesistenti.

Con il completamento dei lavori di restauro di Palazzo Lanfranchi si definisce la destinazione a Museo Nazionale dell’intero immobile con il trasferimento degli uffici della Soprintendenza nel Convento di sant’Agostino.

Nel 1999 gran parte del programma è attuato e nei tre saloni dei dormitori viene inaugurata una mostra come Anteprima del Museo, sintetizzando in ognuna delle sale le tre sezioni che saranno successivamente sviluppate nel percorso espositivo permanente, proponendo al pubblico il sistema di allestimento scelto. Nel 2003 viene inaugurato il Museo Nazionale d’Arte medievale e moderna, allestimento a cura di Agata Altavilla e Biagio Lafratta. Il percorso espositivo si snoda, al primo piano

del palazzo, in tre sezioni: Arte sacra, Collezionismo e Arte contemporanea. Al secondo piano dell’edificio è la sala delle Arcate, unico grande ambiente ricavato dalle aule fatte costruire da monsignor Di Macco, utilizzato per mostre, esposizioni temporanee, conferenze e convegni.